Malaria
Giovanni Maria Lancisi intuì per primo la causa della
malaria.
Salvo alcune osservazioni riportate da M. T. Marrone nel De
Re Rustica e da Terenzio nel De Rerum Natura,
fino ad allora si riteneva che la malaria fosse provocata
dalle esalazioni dell’acqua stagnante delle paludi (da
qui il nome “mala aria”).
Il Lancisi - anatomista, patologo e clinico - avendo osservato
che gli insetti più frequenti nelle paludi pontine
erano le zanzare, nel 1716 nel suo De noxis paludum effluvis
eoumque remediis avanzò l’ipotesi che molto
probabilmente alcuni esseri animati passassero dal pungiglione
dell’insetto al sangue dell’uomo.
E’ solo un secolo e mezzo dopo, che il premio Nobel,
Alphonse Laverai mise in evidenza al microscopio il plasmodio
in Algeria (1880).
Questo protozoo, dopo un ciclo di sviluppo preliminare nel
fegato dell’uomo, attacca i globuli rossi, si nutre
a loro spese, si moltiplica e dà origine a nuovi individui
che vanno a loro volta ad aggredire nuovi globuli rossi. Intanto
Ronald Ross (1857-1932) dimostrò che l’infezione
malarica degli uccelli veniva loro trasmessa dalla puntura
di zanzara.
Restava da individuare il meccanismo di trasmissione all’uomo
e identificare allo stesso tempo il tipo di zanzara responsabile.
Fu Giovanni Battista Grassi (1854-1925) che nel 1898 individuò
nelle zanzare del genere Anopheles l’agente
trasmettitore della malaria all’uomo.
Per quanto riguarda la cura, come spesso accade, fu trovata
per caso alla metà del XVII secolo. La fantasia popolare
ha tessuto dei racconti leggendari sull’origine del
rimedio: il chinino. Tra questi vi è quello che si
riferisce alla guarigione della bionda e leggendaria contessa
del Chinchon, moglie del viceré spagnolo in Perù,
che soffriva di febbri periodiche. Il suo medico le diede
porzioni di corteccia di china che gli indigeni usavano da
lungo tempo. Fu così che grandi quantitativi di corteccia
di china vennero portati a Madrid.
La corteccia di china anticamente chiamata Cortex peruvianus,
fu chiamata da Linneo (1707-1778) - il primo grande maestro
della sistematica nelle scienze naturali - proprio in memoria
della contessa con il e di Cinchona. Secondo altre notizie
però, i primi a sperimentare il dio furono i padri
Gesuiti, missionari in Perù, i quali intorno lo portarono
a Roma.
Grande promotore fu il cardinale Juan del che, nell’Ospedale
Santo Spirito, lo faceva distribuire gratuitamente alla popolazione
romana tanto che a Roma veniva chiamato la “polvere
del cardinale”. La corteccia di china veniva triturata
e ridotta in re in modo da poterne estrarre il principio attivo,
l’alcaloide della Cinchona (chinino), che ancora oggi
è un rimedio antimalarico per eccellenza.
Peste
Intorno al 1347 giunse in Europa la “morte nera”
cioè la peste. Fu descritta dal Boccaccia quando devastò
Firenze nel 1348 e in tutta l’Europa provocò
la morte di più di 25 milioni di persone. I medici,
imponenti di fronte alla contagiosità del morbo e non
sapendo nulla della malattia, ne ricercavano l’origine
nelle cause più assurde, tra cui “gli untori”,
cioè presunti avvelenatori si acque e imbrattatori
di mura delle case.
Solo nel 1894, contemporaneamente due ricercatori, uno giapponese
e uno svizzero, scoprirono il bacillo che prese nome dal ricercatore
svizzero Yersin: Yersinia pestis.
Secoli di esperienza avevano però dimostrato che il
contatto con i loro indumenti o addirittura l’ingresso
nelle loro case poteva provocare la malattia. Così
il medico che andava a curare gli appestati metteva in opera
tutte le possibili misure preventive. I materassi e i vestiti
degli appestati venivano bruciati, le loro case chiuse, i
morti sepolti lontano dalla città in buche profonde.
I medici per di più avevano adottato un abbigliamento
particolare che aveva il duplice scopo di protezione e nello
stesso tempo di riconoscimento. Indossavano la cosiddetta
maschera della peste.
Sifilide
Il nome a questo morbo fu dato nel 1530, quando il nobile
veronese Girolamo Fracastoro pubblicò un poema intitolato
Syphils sive morbus gallicus dedicato al cardinale
Pietro Bembo. Negli eleganti versi sono narrati i dolori di
un giovane pastore di nome Sifilo, che era stato colpito dalla
malattia. Per Fracastoro era l’occasione per descrivere
i sintomi del male e le sue cure a base di mercurio e di guaiaco.
In realtà il morbo avrebbe dovuto essere chiamato “americano”
perché secondo alcuni studiosi fu portato in Europa
dai marinai che nel 1492 avevano compiuto con Cristoforo Colombo
il primo viaggio nel Nuovo Mondo. Colpiva le mucose, le ossa
e faceva perdere i capelli.
La sifilide è provocata dal Treponema pallidum
e si contrae con contatti sessuali e di sangue. Dopo un periodo
di incubazione di 15-20 giorni, si manifesta una lesione cutanea
e poi un ingrossamento delle ghiandole linfatiche. Dopo la
prima fase, se non curata, la malattia interessa le ossa dove
si verificano degli ispessimenti massivi (gomme
sifilitiche).
I sifilitici erano considerati alla stregua degli appestati,
allontanati e non accettati negli ospedali tanto che nacquero
appositamente gli ospedali degli Incurabili. Per la cura della
sifilide bisogna aspettare la scoperta della penicillina.
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Boccale da farmacia per chinino
(XVI-XVII secolo)
Un medico nell'inconfondibile
costume indossato per visitare
gli appestati (incisione, XVII secolo)
Frontespizio di un trattato sulla peste. Traduzione greco-latino
in volgare di Bernardino Silveto. Pavia 1501
L'assistenza a un malato di sifilide.
Incisione di Giovanni Stradano (XVIII secolo)
Ossa deformate dalle sifilide (XVIII secolo) |