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Portico |
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Fa
parte dell’antica sala Alessandrina, costruita tra il
1665-6 7 dal papa Alessandro VII Chigi. Sulla parete sinistra,
in alto, si ammira lo stemma di Pio
IX con una lapide in marmo (1896). Sotto è sistemato
un grande mortaio in marmo
ai cui lati si trovano due enormi angeli. Sulla parete accanto
un’altra lapide ricorda
il restauro del 1797, quando ricopriva la carica di Precettore
(massima carica dell’ospedale) mons. Giovanni Castiglioni.
Sotto gli archi e a terra sono
sistemati alcuni stemmi in travertino
provenienti dall’Ospedale Santo Spirito, riconoscibili
dallo stemma con la doppia croce. Percorrendo il portico a
destra, dietro l’angolo, è murato il monumento
eretto nel 1902 in ricordo del giovane medico Enrico Biondi,
ucciso da un malato di mente. |
Stemmi visibili nel portico |
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Sala
Alessandrina |
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È posta
perpendicolarmente alle sale Sistine che componevano l’Ospedale
Santo Spirito in Sassia. È chiamata anche
“ospedaletto”, in quanto destinata al ricovero dei
feriti di guerra. Lunga 33,11 m, larga 10,78 e alta 10,89, riusciva
a ospitare 64 letti. Attualmente è adibita a sala conferenze.
Le 19 tavole anatomiche a stampa
e colorate a mano visibili alle pareti risalgono all’inizio
dell’800. Furono eseguite da Antonio Serantony sotto la
guida scientifica di Paolo Mascagni
(1755-1815), famoso anatomista e abile descrittore soprattutto
del sistema linfatico. Nove tavole rappresentano le “viscere”,
tre gli “stratum”, e sette i “sistemi”
, che rappresentano l’intero corpo umano (sistema muscolare,
srterioso, venoso, linfatico e osseo).
Oltre alla stampa con figura di
donna in piedi con addome sezionato di autore ignoto,
sono esposti anche tre dipinti
su tavola di proprietà di Guglielmo
Riva (1627 ca-1676), insigne chirurgo dell’Ospedale
della Consolazione: • il Microcosmo,
che raffigura un uomo in piedi con il corpo sezionato. Sullo
sfondo un paesaggio, un cane e un albero con fronde e frutta
sul quale è posato un fringuello. Ai piedi dell’uomo
una grande pergamena scritta in latino. In basso si legge “Jo
Girarid sculp”. È noto che la scoperta dei
vasi chiliferi si deve a Gaspare Aselli (1581-1626), ma fu Guglielmo
Riva a fornire all’artista le dettagliate informazioni
per raffigurare in questo dipinto il sistema chilifero dell’uomo.
• il Cervello, che mostra un individuo con
la scatola cranica aperta. In basso è visibile un’iscrizione
latina; • il Fegato, che raffìgura
un individuo con l’addome sezionato che tiene un cartiglio
scritto in latino.
In fondo alla sala, a sinistra, una statua in gesso su piedistallo
in marmo rappresenta Esculapio. |
Veduta della sala Alessandrina
Il
busto di
Giuseppe Maria Lancisi |
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La
statua in gesso di Esculapio |
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Scalone |
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Dalla
sala Alessandrina si accede al piano superiore percorrendo
una scala monumentale; sulla doppia gradinata che si sviluppa
simmetricamente sono allineati i busti
di medici illustri, tra cui quello di Ippocrate
(scultura di Achille Fabbri, XIX secolo) e quello di Giuseppe
Maria Lancisi.
Sulla parete destra della scala è poggiato alla parete
il piano del tavolo anatomico in marmo con gocciolatoio, scanalato
ai bordi, sul quale fu deposto il cadavere di Goffredo Mameli.
Originariamente si trovava nella camera mortuaria della
Trinità dei pellegrini.
Sul pianerottolo dello scalone
vi è una cassapanca in
legno del XVII secolo ornata da teste di leone dove
venivano conservate le erbe medicinali. Proviene dalla Spezieria
dell’Ospedale Santo Spirito.
Ai lati della porta attraverso
cui si accede alla sala Flajani si notano due grandi medaglioni,
raffiguranti Pio VI e il cardinale Francesco Saverio de Zelada.
Le lapidi sotto ai medaglioni
ricordano i tre Fondatori del Museo (Borgatti, Capparoni e
Carbonelli), e il primo presidente dell’Accademia, Pietro
Capparoni, di cui è visibile la testa in bronzo.
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Medaglione con papa Pio VI
e
medaglione con il cardinale Francesco Saverio de Zelada |
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Sala
Flajani |
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È
la prima sala che incontriamo in cima allo scalone e contiene
il fondo antico del Museo: un impietoso campionario di deformità
natali o morbose. Si tratta di preparati anatomo-patologici
a secco del tardo Seicento, e di malformazioni natali preparate
sia a secco che in formalina.
Le preparazioni
anatomo-patologiche riguardano alterazioni dello scheletro
e dei vasi dovute a malattie oggi fortunatamente sparite o
rarissime, come le lesioni delle ossa craniche dovute alla
sifilide o le cosiddette
gomme “sifiliche”. Le malformazioni
natali comprendono crani di feti e piccoli scheletri,
di cui alcuni macrocefali e un bicefalo.
Oltre a questa rassegna di
deformità, nella scaffalatura in legno di rosa del
più puro stile impero è raccolta la collezione
delle cere. Questa fu ordinata dal cardinale Francesco Saverio
de Zelada, segretario di Stato di papa Pio VI, in due tempi,
nel 1779 e nel 1792, al ceroplasta G. Battista Manfredini,
che le esegui sotto la direzione scientifica del famoso anatomista
dell’Università di Bologna Carlo Mondini.
La prima volta il cardinale ordinò uno “studio
ostetrico” che rappresentasse l’utero a
grandezza naturale nei differenti stati e con varie distocie
fetali, cioè i casi in cui il feto si presenta in modo
anomalo. Sono 36 preparazioni che dovevano servire per l’insegnamento
dell’ostetricia. Il cardinale fu molto soddisfatto,
tanto che ordinò un’altra serie di preparazioni
rappresentanti tronchi anatomici con le relative tavole “di
corteggio”.
I tronchi anatomici sono plastici generali del corpo umano,
le tavole i corrispondenti dettagli di organi interni. Sono
riproduzioni di grande esattezza scientifica e di rara qualità
artistica. Tutte le cere sono conservate in cassette di noce.
Al centro della sala, possiamo vedere il tempietto
che conteneva uno strumento con cui si triturava la corteccia
di china senza farla disperdere. Risale all’ultimo quarto
del XVIII secolo e fu eseguito su disegno di Giovanni Battista
Cipriani da Siena.
La polvere di china rivoluzionò il metodo di cura della
malaria, febbre endemica a Roma e nella regione circostante
dove ogni anno mieteva centinaia di vittime.
Sempre al centro della sala è collocato il modellino
in legno delle corsie Sistine dell’Ospedale
Santo Spirito che riproduce fedelmente perfino le pitture
murali che decorano le corsie (1935), e quello dell’Ospedale
San Giacomo in Augusta detto “degli Incurabili”,
eseguito dall’arch. Camporese per essere presentato
al papa per l’approvazione (XIX secolo).
Sulla parete destra una collezione piuttosto singolare: quella
dei calcoli estratti dal
fegato, dai reni e dalla vescica di pazienti operati nell’Ospedale
Santo Spirito nel XIX secolo.
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Scheletri di bambini malformati
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Cera
ostetrica
con un feto all'inteno dell'utero |
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La
collezione delle cere commissionata dal cardinale
Francesco Saverio de Zelada |
Tempietto in
legno che racchiudeva il torchio per produrre il chinino
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Busto
maschile in cera
per lo studio dell'anatomia |
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Sala
Capparoni |
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Lato
sinistro
La raccolta di ex voto (vetrina
B1) etruschi, romani, greci e moderni dimostra come fìn
dall’antichità i problemi legati alla salute
fossero spesso risolti sul piano della magia e della religione:
gli ex voto erano offerti per ottenere la guarigione o per
ringraziare dell’avvenuta guarigione, un’usanza
tuttora presente nei nostri santuari. Di questa commistione
tra magia e medicina restano altre evidenti testimonianze
come il corno del mitico liocorno
(B5), montato in bronzo dorato con relativo astuccio in marocchino
del XVI secolo, e la palla di bezoar
(B4).
Nei bestiari il liocorno era descritto come un animale mezzo
caprone mezzo cavallo con un lungo corno, che partiva dal
centro della fronte. Secondo le leggende era ferocissimo ma
si andava ad accuciare in braccio alle fanciulle vergini.
Approfittando di ciò i cacciatori gli gettavano addosso
le reti e gli segavano la protuberanza. Il liocorno è
chiaramente un animale immaginario e il suo corno è
in realtà il dente di un cetaceo molto raro: il Narvalo.
Il Bezoar è una palla di natura calcarea, di origine
biliare che si forma nell’apparato digerente dei ruminanti.
Sia il corno di liocorno che il bezoar erano considerati un
antidoto contro ogni male.
Tra le curiosità presenti nella sala, una piccola “Venere
anatomica” (B2) in avorio, di fattura tedesca
del 1600, con torace e ventre apribili per mostrare la posizione
del feto. Sempre in avorio è un clistere
(B2) risalente al XVII secolo.
Appoggiata a terra, una stele funeraria di un medico liberto
di Adriano, P. Elio Curziano. Sul fastigio sono scolpiti due
volumi e una busta con strumenti chirurgici.
Diverse farmacie portatili
(B4) (XVII-XIX secolo) documentano la storia della farmacia:
le più antiche provengono dalla fonderia del granduca
Ferdinando Il di Toscana e da quella di Santa Maria Novella.
Le farmacie portatili erano usate dagli speziali o dai medici
in occasione di viaggi o per interventi urgenti su infermi
che non potevano essere trasportati. In alcuni casi erano
usate anche da persone ricche che, partendo per lunghi viaggi,
non tralasciavano di portare con sé la propria farmacia
da viaggio che conteneva boccettine di vetro con dentro i
medicamenti, accompagnate dal relativo foglietto illustrativo.
Su un ripiano sottostante sono esposte le “pastiglie
di terre sigillate” (B4), cioè piccoli
quantitativi di terra conservati in sacchetti garantiti da
un sigillo apposto da varie istituzioni - prima tra tutte
i Cavalieri di Malta - che ne garantivano l’autenticità.
Malta era un luogo privilegiato perché, come narrato
negli Atti degli Apostoli, san Paolo fu morsicato
da una vipera appena sbarcato nell’isola, ma si salvò.
Queste pastiglie, in particolare, provengono dalla fonderia
del granduca di Toscana e sono composte di terra prelevata
nell’isola d’Elba.
Una curiosità notevole è la Siringa
di Mauriceau (B2). Si tratta di un tubicino di gomma
che si applicava a una siringa in ottone per introdurre acqua
benedetta nella cavità uterina, allo scopo di battezzare
ante partum i feti che correvano il pericolo di soccombere
durante il travaglio. La disposizione, voluta dal cardinale
Borromeo, indusse Mauriceau (1673-1709) - l’ostetrico
della famiglia reale - ad inventare questo strumento.
Sulla parete in fondo sono esposti vetri
e vasi da farmacia.
Sopra la vetrina alcuni quadri a olio raffigurano medici illustri.
Al centro è il ritratto di Girolamo Fabrizio d’Acquapendente,
insigne chirurgo ed anatomista del XVI secolo, mentre spiega
l’anatomia ad un giovane (probabilmente il figlio Francesco)
servendosi di un modellino; nella mano sinistra ha uno specillo
mentre la mano destra posata su un gruppo di libri, alcuni
dei quali recano i nomi di Avicenna, Aristotele, Galeno. A
sinistra in basso possiamo vedere il ritratto di Giovanni
Maria Lancisi.
Continuando il percorso della sala, troviamo una macchina
per l’elettroterapia del XIX secolo. È
l’antesignana delle macchine per elettrochoc.
Nella vetrina successiva vi sono gli oggetti e gli strumenti
donati dai professori Orlando Solinas e Giuseppe Ovio, illustre
maestro di oculistica che fu anche vicepresidente dell’Accademia.
Nella vetrina B9 sono conservate due
piastrelle in ceramica invetriata attribuite a Luca
della Robbia che rappresentano L’assistenza agli infermi.
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Clistere in avorio del XVII secolo
Farmacia portatile della prima metà
del XVIII secolo
Venere anatomica in avorio del XVII
secolo
Farmacia portatile della prima metà
del XVIII secolo
Vetri da farmacia |
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Sala
Carbonelli |
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Lato
destro
Appena entrati, troviamo la cattedra
del Lancisi in legno di noce con scaletta di accesso
dalla quale G. M. Lancisi teneva le lezioni di medicina ai
sanitari dell’Ospedale Santo Spirito, per le tornate
dell’Accademia Lancisiana e per le altre conferenze
o riunioni scientifiche.
Guardando verso la parete di fondo del braccio destro della
sala, in un’alta vetrina sono conservate due
preparazioni veramente spettacolari. Da una parte il
preparato a secco del sistema nervoso centrale e periferico
eseguito da Luigi Raimondi nel 1844, dall’altra il sistema
nervoso centrale e periferico eseguito da Stefano Ftattocchio.
Nella vetrina C1 troviamo gli strumenti che servivano all’antico
chirurgo per eseguire gli interventi più comuni: trapani
per poter effettuare operazioni sul cranio, seghe
per amputare gli arti andati in cancrena - va segnalata la
sega che appartenne all’esercito napoleonico, con lama
istoriata, tenuta da un manico a scatola, in cui si conservano
ancora pinze e coltelli per le operazioni - e lancette
per poter eseguire i salassi.
Nella vetrina C2 sono conservati gli strumenti d’indagine,
ovvero gli specula vaginali
e anali. Sulla parete del ripiano superiore una stampa di
autore ignoto rappresenta una venere
ostetrica (XVII secolo). Tra le curiosità, la
mano di una bimba tredicenne
(C3), perita di meningite nel 1881 e “metallizzata’
da Angelo Motta di Cremona, morto in povertà nell’Ospedale
Mauriziano di Torino nel 1888, portando con sé il segreto
della metallizzazione dei corpi.
Una collezione di microscopi
di varia forma ed epoca (XVII-XIX secolo) ci portano al tempo
di Galilei, Leuwenhoek, Vallisnieri e Malpighi, ed una raccolta
di occhiali del XVI e
XVII secolo è conservata nell’armadio C4.
Sulla parete due stampe. Una
rappresenta L’abito della medicina di autore ignoto,
l’altra rappresenta una Giovinetta affetta da morbo,
incisione di Francesco Bartolozzi tratta dal dipinto Il farmacista
1752) di Pietro Longhi (1702-1762). In basso, la didascalia
recita “Vezzosa giovinetta un morbo assale/che rauca
rende la parola e il canto/l’esamina un perito e scrive
intanto/medica penna la ricetta al male”.
Nelle vetrine C5 e C6 vi sono ex voto
e strumenti chirurgici, e copie di reperti di scavi
archeologici in gesso e ferro.
Nella parete di fondo, vetri
e vasi di farmacia. Su un ripiano sono raccolti gli
unguentari romani le cui dimensioni variano dai 5 ai 12 centimetri
e risalgono al 1-1V secolo d. C. Le altre tipologie di vetri
risalgono al XVII-XVIII secolo e sono bottiglie, barattoli
e albarelli. Vetri particolari sono quelli da ospedale: bicchierini
per dissetare gli ammalati, matule, coppette da salasso, orinali
e addirittura pappagalli. È esposto anche un biberon
di manifattura francese.
Su un ripiano in basso vi è la bottiglia
di Leyda, prototipo del condensatore elettrico ideato
a Leiden (Germania) per compiere semplici esperienze di elettricità
e l’apparecchio di Avogadro
(1776-1856), con cui l’illustre fisico sperimentò
la sua legge sui gas. Fu presentato alla I Mostra Nazionale
della Scienza a Firenze nel 1929.
Nell’armadio trapezoidale al centro (C9) è esposta
una raccolta di strumenti ostetrici
proveniente dal reparto maternità dell’Ospedale
San Giovanni del Laterano, donata dal papa Pio IX: forcipi,
cefalotribi, uncini, clisteri.
Tornando al centro della sala, sullato destro troviamo un
torchio in legno per la farmacia
del secolo XVII proveniente dall’Ospedale San Giovanni
di Torino.
Sulla parete accanto alla finestra una piccola stampa
raffigura il Medico della peste
nel tipico abbigliamento che il medico usava durante le epidemie
di peste: una lunga cappa di tela cerata, guanti, occhiali
e una maschera con un lungo becco. All’interno del becco
erano poste sostanze odorose, che avevano lo scopo di purificare
l’aria che si respirava dai “vapori venefici”.
Il medico inoltre portava con sé un lungo bastone con
cui toccava l’ammalato, rimanendo a debita distanza.
Seguono una sedia e un lettino
da parto.
Sorpassando la farmacia e il laboratorio troviamo nell’ordine:
• insegna ottagonale di
chirurgo-barbiere del XVI secolo sorretta da un braccio
in ferro. Il dipinto presenta da una parte il ritratto di
un vecchio barbuto con tunica verde oliva e mantello rosso,
sul retro un’iscrizione:
HABITATIONE DI/
ANTONIO LAMBERTO
DET(TO)/
ORCINO, CIRUGICO ET OPERA(TO)RE/
CHE TAGLIA FIGLIOLI ET/ HUOMINI CHE
PATIS CONO!
MALE DELLA PIETRA ET
LEV(A)I
LA CATTARATA; |
•
stampa a colori raffigurante
un medico che controlla nella matula
l’urina della paziente che è di fronte a lui;
• statua lignea
rappresentante un oppiato
in legno policromo del XVI secolo proveniente da una farmacia
del Piemonte;
• quadro a olio
raffigurante l’anfiteatro
anatomico dell’ospedale della Consolazione,
dove operava Guglielmo
Riva (XVII secolo);
• quadro a olio
raffigurante una scena di peste ambientata in una piazza con
le figure di malati in primo piano e sullo sfondo personaggi
che guardano l’apparizione della Madonna (XVII secolo);
•due apparecchi
per anestesia dei primi anni del
XIX secolo, fabbricati dalla Drager di Lubecca. Si tratta
di autentici cimeli: il primo, a cloroformio ed etere, fu
costruito nel 1914 su scala industriale , l’altro, tutto
in nichel, è uno dei primi modelli messi in commercio
con l’avvento del protossido di azoto, con ossigeno
ed etere in circuito chiuso;
• mobile in noce a nove sportelli sormontato da uno
scudo con lo stemma crociato dei Savoia e la corona reale,
contenente l’armamentario
chirurgico donato da Vittorio Emanuele
II (1860).
Al centro della sala, in vetrine a leggio, sono conservati
alcuni erbari
del Settecento, medaglie, diplomi
di aromatario o farmacista e di
medico.
Gli erbari raccolgono circa 600 piante, soprattutto medicinali
essiccate e pressate, appositamente trattate con metodi scientifici
atti a garantirne la conservazione per anni. Sono montate
su fogli ed ogni esemplare è corredato da notizie relative
alla classificazione, al tipo di ambiente in cui preferibilmente
si sviluppa, al luogo e alla data di raccolta. Gli erbari
testimoniano l’importanza che aveva nella cura delle
malattie la conoscenza delle erbe medicinali, da cui attraverso
i procedimenti di macerazione, distillazione, estrazione e
spremitura si traevano i principi attivi.
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Sala Carbonelli
A La
cattedra Lancisi B La raccolta
di strumenti ostetrici
donata dal Papa Pio IX C Lo speculum
D Un trapano
Torchio per farmacia del XVII secolo
Un diploma del XVII secolo
L'armamento chirurgico donato da Vittorio Emanuele II
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Farmacia |
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Fedele
ricostruzione di un’antica farmacia del XVII secolo,
con il pavimento in cotto e il soffitto a cassettoni. Un grande
banco di legno massiccio è posto dirimpetto alla porta
d’ingresso. Sul banco c’è la bilancia,
con cui il farmacista pesava le polveri.
L’efficacia dei rimedi infatti era strettamente legata
all’armonia degli ingredienti e all’esattezza
delle dosi da somministrare ai pazienti. Spesso, invece di
pesare gli ingredienti, si usavano i cucchiai
come unità di misura. Nelle farmacie infatti, esisteva
tutto uno strumentario per preparate e conservare i medicinali:
mortai, per ridurre in polvere le sostanze; cucchiai e spatole
per dosare, mescolare, impastare e somministrare i rimedi;
imbuti di vetro o di metallo per versare i liquidi; contenitori
sia di vetro che fittili per riporre i farmaci e bilancine
per pesare i medicinali.
Lo speziale troneggiava dietro il banco e il medico e i notabili
si raccoglievano intorno a lui. Anzi, il medico spesso riceveva
i suoi pazienti proprio in farmacia, un uso conservato in
certe regioni d’Italia quasi fino ai nostri tempi. Nelle
antiche raffigurazioni italiane il medico è spesso
rappresentato in farmacia nell’atto di visitare, di
prescrivete una ricetta o di esaminare l’orina.
A partire dalle Costitutiones di Federico II nel
XIII secolo, la figura dello speziale era diventata autonoma
rispetto a quella del medico.
Di grande aiuto per lo sviluppo delle spezierie fu la pubblicazione
delle farmacopee, cioè raccolte di ricette per la cura
delle malattie più diffuse e di regole per la conservazione
della salute.
Sugli scaffali che ricoprono le pareti della sala, trovano
posto i vasi da farmacia che contenevano i medicamenti. La
maggior parte proviene dalle spezierie di Santo Spirito, San
Giacomo e Santa Maria della Consolazione di Roma.
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Laboratorio
Alchemico |
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E’
allestito scenograficamente in un’atmosfera di magia
e superstizione. Dal soffitto pende un coccodrillo impagliato,
che fu spesso usato in antiche terapie proprio perché
alla “curiosità” zoologica erano attribuite
virtù mediche straordinarie. Sembra di dover vedere
tra storte, alambicchi, mortai e vetri di ogni forma l’ombra
di Faust, ma l’oggetto che più attira l’attenzione
del visitatore è indubbiamente il calco della famosa
porta ermetica (l’originale
è nei giardini di piazza Vittorio). Si racconta che
i segni arcani e cabalistici incisi sulla porta rappresentino
la formula della pietra filosofale, quella che permetteva
di trasformare i metalli vili in oro.
Accanto si trova un grande contenitore di pietra del XVII
secolo munito di coperchio e chiavistello, che veniva usato
per la preparazione della triaca, una sorta di panacea, adatta
per qualsiasi malanno. La storia narra che il primo medicamento
del genere fu ideato da Mitridate, re del Ponto. Al “mitridato”
(così era chiamato il suo antiveleno, composto da circa
ottanta ingredienti) Andromaco il Vecchio, medico di Nerone,
aggiunse la carne di vipera. Nacque così la triaca
di Andromaco conosciuta per venti secoli. La preparazione
avveniva in forma pubblica, alla cerimonia assistevano le
autorità di governo, sotto il diretto controllo del
collegio dei medici e degli speziali che dovevano garantire
la bontà di ogni ingrediente.
All’interno del camino
è collocato il tipico forno dell’alchimista (athanor).
Sull’athanor poggia un alambieco e accanto
c’è una cucurbita, una specie di distillatore.
Il grande mantice serviva ad alimentare il fuoco. L’estrazione
dei principi attivi dalle erbe in genere comportava l’uso
di alambicchi per la distillazione. Erano usati tre metodi:
per ascenso, per inclinazione e per descenso. Per ascenso
si distillavano erbe, aromi, semi, mie le e zucchero; per
inclinazione legni grassi, corna, ossa, resine, gomme, sali,
metalli; per descenso legni secchi. La1-chimista usava molti
strumenti in vetro. I più comuni erano: i ma-tracci,
le bocce, le storte, gli imbuti, i capitelli e le campane.
I matracci servivano per raccogliere
i liquidi o per riscaldarli quando si voleva evitare l’eccessiva
evaporazione. Hanno un corpo globulare con il fondo piatto
e un collo lungo per poter essere manipolati.
Le bocce sono forse l’oggetto
più antico in uso nelle spezierie. Per non farle cadere,
visto che hanno un fondo non piano ma convesso, potevano essere
rivestite di paglia e in questo caso prendevano il nome di
fiasco o fiasca, oppure erano sorrette da sostegni di ferro.
Servivano per raccogliere i risultati di una distillazione
oppure messe a bagnomaria o sul fornello servivano a favorire
la miscelazione delle sostanze.
Altri strumenti tipici del laboratorio sono le storte,
riconoscibili dal collo ricurvo e i capitelli
che presentano un tubo applicato al corpo sferico con grande
bocca. Questi ultimi servivano per raffreddare il liquido,
tramite il tubo condensatore.
Le campane venivano usate invece
per coprire i preparati o per raccogliere gas e creare un
ambiente fuori dal contatto con l’aria.
Sul grande tavolo del laboratorio, tra i vari strumenti di
vetri, ve ne è uno molto raro, chiamato la “fiorentina”.
Serviva per separare i liquidi immiscelabili come ad esempio
l’olio e l’acqua, difatti il liquido più
pesante rimaneva sul fondo e quello più leggero si
poteva far uscire dal lungo beccuccio ricurvo.
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La porta ermetica nel laboratorio
alchemico.
A sinistra il contenitore della triaca
Il camino del laboratorio con l'athanor,
il recipiente con cui
l'alchimista riscaldava le pozioni su cui poggia un alambicco;
accanto una cucurbita |
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Biblioteca |
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Vicino
la porta di ingresso vi sono quattro ritratti di medici ad
olio del XVIII secolo. Tra questi, i ritratti di Giuseppe
Flajani e del figlio Gaetano.
Lungo le pareti, una scaffalatura autentica in noce del XVII
secolo, proveniente da un archivio capitolare monastico.
All’interno sono conservate oltre 10.000 pubblicazioni
riguardanti la storia della medicina. Molte sono le edizioni
pregevoli dal XVI al XVIII secolo, tra cui cinquecentine molto
importanti di Aldo Manuzio e figlio; vi sono inoltre ricettari,
manoscritti datati dalla fine del XVIII agli inizi del XX
secolo, moltissime miscellanee, lauree, diplomi, incisioni,
tavole anatomiche, bandi e regolamenti.
Sopra la scaffalatura, alcuni grandi vasi da farmacia e un
mortaio. Appese alle pareti, targhe in legno a festoni intagliati
e bassorilievi in marmo.
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La biblioteca |
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